Mart, Rovereto

 

 

 

 

 

 

 

 

Andy Warhol
(American, 1928–1987)
Empire (excerpt), 1964
16mm film transferred to DVD.
Collection of The Andy Warhol
Museum, Pittsburgh

 

 

 

 

 

 

 

Piotr Uklanski
(Polish, b. 1968)
Untitled (Vesuvius), 2000
Chromogenic development
print under Plexiglas.
Collection Ernesto Esposito,
courtesy of Gavin Brown’s enterprise, New York

 

 

 

 

 

 

 

Gabriel Orozco
(Mexican, b. 1962)
Sandals Tale, 1996
Chromogenic development prints
Courtesy of Marian Goodman Gallery,
New York

 

 

 

 

 

 

 

Maurizio Cattelan
(Italian, b. 1960)
Hollywood, 2001
Chromogenic development print,
Plexiglas, and wooden frame.
Courtesy of Marian Goodman Gallery,
New York

 

 

 

 

 

 

 

Alexander Timtschenko
(German, b. 1965)
Paris I, 1999
Chromogenic development print
Courtesy of Serge Hosseinzade Dolkani,
Munich

 

 

 

 

 

 

Olivo Barbieri
(Italian, b. 1954)
Site specific_roma 04, 2004
Video projection
Courtesy of Brancolini
Grimaldi Arte Contemporanea, Roma;
Spazio Erasmus Brera, Milano

 

 

TURISMO E ARTE

di Francesco Bonami curatore della mostra
(estratto dal saggio del catalogo)

 

Con circa 700 milioni di persone che ogni anno
viaggiano verso destinazioni internazionali, il turismo è diventata la più prospera industria del mondo.
La mostra Universal Experience: arte e vita.
Lo sguardo del turista, indaga i risvolti culturali di
questo fenomeno attraverso le opere di 35 artisti.
La mostra, partita dal Museum of Contemporary Art di Chicago, dopo essere stata alla Hayward Gallery di Londra, è approdata al Mart.

 

In realtà siamo tutti turisti. Facciamo tutti parte di un nuovo rito o religione, quella di credere solo in ciò che è noto, ovvero in ciò che ci viene dato per vero.
Non sappiamo chi siamo e abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica dove andare e cosa vedere. I musei espongono ciò che conosciamo perché la gente non sembra più attratta dalla bizzarria o dal mistero, dall’ignoto o dal mondo underground.
Ricordo che quand’ero bambino ci divertivamo a vagare e a chiederci se ci stavamo inoltrando in un luogo del bosco in cui nessuno era mai stato. Avevamo il desiderio fortissimo di scoprire l’intatto, l’ignoto. Credo che tutti noi abbiamo ancora questo stesso desiderio ma non riusciamo a soddisfarlo per paura di uscire dalla strada segnata e compiere un errore.
Questo dialogo tra il noto e l’ignoto apre e arricchisce le nostre vite.
In un mondo mediato, pieno di miraggi, inganni ed eventi simili a miracoli è difficile trovare esperienze e luoghi unici. Grazie ai mezzi di comunicazione siamo in grado di trovarci nello stesso luogo e vedere le stesse cose tutti ovunque e contemporaneamente.
Universal Experience vuole essere invece come quei boschi in cui speriamo di trovare un luogo dove mai nessun altro è stato. Questa scoperta è naturalmente
un’illusione, è finzione; tuttavia questa illusione e questa finzione possono rendere le nostre vite degne di essere vissute.
La mostra è un dialogo tra icone attuali e future. Ci si chiede come un’attrazione turistica divenga opera d’arte, come la Torre Eiffel, e come un’opera d’arte divenga attrazione turistica, come la Monna Lisa. Entriamo in un museo come turisti, ma di fronte al mistero dell’arte
ci trasformiamo in spettatori. In qualità di spettatori di icone come Monna Lisa o la Nike di Samotracia condividiamo esperienze universali e diventiamo turisti e spettatori e nuovamente turisti. La mostra è un sistema
di specchi in cui icone, spettatori e turisti si riflettono gli
uni negli altri.

PERCHÉ UNIVERSAL EXPERIENCE OGGI?
Nel 366 il papa Damaso cercò di convertire tutti i romani al Cristianesimo. Una volta resosi conto che non sarebbe mai riuscito nel suo intento, rese romana la Chiesa. Allo stesso modo il mondo moderno ha cercato di convertire ogni cosa – vita, lavoro, famiglia, svago – nel business dell’intrattenimento, nell’industria della celebrità e nella cultura di massa. Una conversione del genere non era possibile, ma gran parte di ciò cui oggi diamo importanza viene giudicato in base a quei parametri: il turismo, il business dell’intrattenimento e l’industria dei personaggi famosi sono diventati tutto ciò che conta in una società dominata dai mezzi di comunicazione di massa.
Oggigiorno un’opera d’arte deve assolutamente diventare famosa. Poiché la fama è uno dei materiali con cui lavorano gli artisti contemporanei, molte opere sono considerate famose ancor prima di essere create.
Forse attraverso questa metamorfosi del familiare nell’universale riusciamo probabilmente a trovare il nocciolo della nostra esistenza contemporanea.
Gli archi dorati di McDonald’s, la forma del Guggenheim di New York, il logo Nike, la mela Macintosh, la firma di Picasso o la lattina della zuppa Campbell di Warhol diventano familiari nella loro unicità e infine universali. Ci si muove attraverso questa profusione di icone, loghi, simboli e forme e così cresce la nostra coscienza di turisti. Ci si guarda attorno in cerca di indicazioni o segnali che ci diano conferma di dove ci troviamo e del fatto che ci troviamo nello stesso mondo di tutti gli altri. Impariamo ad aver paura del dubbio perché il dubbio non è un buon affare.
Chi si reca nel Museo di Israele a Gerusalemme può vedere un oggetto non più grande di un nocciolo d’oliva; la didascalia dice che è il primo esemplare noto di scultura prodotta dall’uomo. Ci dice che è il corpo di una donna o di una dea, ma potrebbe anche essere soltanto un vecchio nocciolo d’oliva.
Questo è ciò che definisco un’esperienza universale: si abbandona il dubbio e si accettano l’oggetto o l’immagine come autentici.
Al giorno d’oggi l’autenticità è un ibrido di ciò che la gente ci dice e ciò che decidiamo di credere. Andiamo a Loch Ness, a Lourdes, a Fatima e a Roswell perché ci piace credere che la storia di questi luoghi potrebbe essere vera.

LE ESPERIENZE UNIVERSALI PORTANO ALLA VERITÀ UNIVERSALE?
“In che tipo di verità vogliamo credere quando osserviamo qualcosa? Vogliamo credere a ciò che ci viene detto o preferiamo trovare la vera storia al di là delle immagini?”
In genere crediamo che sia vero ciò che ci viene detto, che si tratti di arte, morte, sesso o terrorismo. Ma possiamo forse dire che guardare Double Mona Lisa di Warhol è meno veritiero che guardare la vera Monna Lisa? L’autentico diviene più forte grazie alle sue copie, mentre il falso si fa più autentico. L’originale diventa più familiare e le nostre idee ed emozioni diventano più forti o più deboli man mano che le condividiamo con il mondo.
Molti tipi di verità si trovano fianco a fianco con molti tipi di mistero o paura.
Sospesi tra stupore e terrore, velocemente da turisti ci trasformiamo in spettatori in testimoni. Riteniamo di conoscere tutto perché crediamo di avere esplorato i boschi quando eravamo bambini e vaghiamo nel mondo in cerca di un’esperienza autentica.
Forse l’arte contemporanea è l’apice dell’esperienza autentica, perché non possiamo ancora conoscerla a fondo.
Ci può forse condurre in uno degli ultimi angoli intatti del bosco. Dare alla gente più opportunità di smarrirsi e gioire nell’ignoto – per trovare la verità vicino alla paura – potrebbe essere il passo successivo dei musei per creare un nuovo pubblico.
Ritengo che le mostre vadano in crisi quando iniziano a preoccuparsi più di essere comprese che dell’esperienza che offrono. Conoscere la vita dell’artista o la tecnica che usa è utile, ma non provoca una rivelazione. Deprivare l’arte della sua immediatezza significa deprivare noi stessi dell’opportunità di sperimentare una possibile trasformazione.

L’IGNOTO È PERDUTO E IL NOTO È MOLTO PIÙ COSTOSO.
I musei restano uno degli ultimi luoghi in cui il rapporto tra spazio e tempo è stato mantenuto; la loro fisicità è fondamentale perché le loro storie si dispieghino nel tempo. I musei offrono esperienze universali vissute nel tempo e nello spazio reale, anche se ci piacerebbe tanto
essere virtuali. Il museo è un terminal in cui sosta un altro gruppo di turisti contemporanei: gli artisti. Essi ci raccontano le loro storie, le loro verità e le loro menzogne. Ci raccontano ciò che hanno perso e ritrovato, le loro paure e i loro amori. Nel silenzio ascoltiamo questi narratori e creatori di immagini e condividiamo esperienza di vita. Come se ci trovassimo per un momento in un aeroporto, condividiamo la vita di persone diverse e sconosciute. Ci sentiamo parte dello stesso mondo e ci dimentichiamo degli altri mondi che lasciamo dietro di noi. Condividiamo un’esperienza universale che deve essere
ripetuta e raccontata più e più volte, perché sappiamo che
non può durare per sempre.
Quando qualcuno mi chiede se Universal Experience viaggerà, rispondo “Sarai tu a viaggiare.”.
Non voglio creare aspettative. Non voglio farne una storia di successo prima ancora che sia una storia reale. Le attrazioni turistiche sono successi inventati, la gente va a vederle perché la loro fama precede il loro valore originale e storico. La loro importanza all’interno del rispettivo
contesto sociale si è persa nel vuoto della loro effimera
popolarità.
Il successo era originariamente un risultato, ora è divenuto un punto di partenza. Il compito di un ufficio stampa è quello di presentare una mostra come un successo: i giornalisti vogliono sapere più cose possibili prima ancora di vedere una mostra; non vogliono essere sorpresi. Sono turisti come tutti noi e vogliono potersi muovere in un territorio familiare. Vogliono semplicemente delle risposte, e probabilmente le loro risposte. Capire non è più una conquista ma una richiesta da soddisfare. Ancora una volta, affrontare la paura e il dubbio non fa più parte dell’esperienza contemporanea.
Perché tutto ciò? Le esperienze che oggi viviamo e i rischi che ci assumiamo sono precotti. Lo stesso ristretto numero di architetti costruisce i principali musei ed edifici, perché il loro lavoro è preconfezionato come una storia di successo. Le loro opere sono già famose ancor prima che vengano progettate. E’ passato il momento in cui il governo francese scelse di rischiare affidando ad architetti allora quasi del tutto sconosciuti, come Renzo Piano e Richard
Rogers, un progetto eccezionale ed enorme, il più
grande museo di Parigi, il Centre Pompidou.
La cultura dell’esperienza precotta, del successo immediato, dell’intrattenimento e della rimunerazione rapida è un luogo pericoloso in cui vivere. Questa cultura tende a considerare gli spettatori degli idioti intrappolati in un mondo confuso, privi di desideri, curiosità e bisogni.
Anche chi lavora nei musei ammette che la gente ne ha paura. La gente teme l’arte e di conseguenza la si nutre con ciò che le è familiare, come Picasso, Warhol e gli Impressionisti. La gente riceve un menu fisso di esperienze, immagini, parole e idee. I visitatori hanno sete di visioni e ricevono spiegazioni: durante questo processo le loro menti si chiudono lentamente, senza essere più in grado di avere delle visioni; la materia prima di cui sono fatte le complessità dell’esperienza, le svolte inaspettate e gli angoli ignoti che desideriamo trovare perché ci consentono di fare delle scoperte personali. Le spiegazioni distruggono questa materia prima: la scoperta è stata fatta da qualcun
altro e noi la perdiamo.
Quando tutti avranno fatto le stesse esperienze e il mondo sarà uguale ovunque, potremo finalmente dire che la fine del mondo è giunta. Il giorno del Giudizio Universale è il giorno in cui tutta l’umanità vedrà lo stesso mondo, in ogni luogo e allo stesso tempo. Quando ci troviamo davanti alla Torre Eiffel o alla Monna Lisa, indossiamo scarpe Nike o mangiamo un Big Mac, sappiamo che stiamo condividendo la stessa esperienza con molte altre persone e ci sentiamo più sicuri.
Quando il dubbio, la curiosità e il mistero vengono sradicati, allora riecheggia il paradosso dell’Impressionismo, un tempo fenomeno underground, ora marketing allo stato puro, privo della concorrenza di altre nuove culture underground.
Come turisti cerchiamo la verità artificiale, il significato artificiale. Solo la verità mediata è accettabile. Osserviamo ammirati un oggetto d’arte dopo che “l’ammirazione” è stata costruita e veicolata attraverso la stampa, la televisione e la pubblicità.
Nella nostra epoca le voci e le parole hanno perso la guerra contro le immagini. La violenza provoca orrore soltanto quando la vediamo su uno schermo televisivo o sulla copertina di una rivista. Oltre 3 mila persone sono morte nel World Trade Center di fronte ai nostri occhi. Decine di migliaia di persone sono morte in Ruanda lontane dalle telecamere e il nostro orrore si è disciolto negli articoli privi di immagini dei quotidiani. Lo sguardo è lo strumento attraverso il quale percepiamo e creiamo verità su misura.
Una mostra come Universal Experience è un’esperienza attraverso gli occhi del visitatore, con domande che non hanno risposta e mantengono in vita i dubbi.

 

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