L'ECO DELLA PACE

Erri de Luca, Rifugio Caré Alto, luglio 2005 e (a destra) Rovereto, Campana dei Caduti
(foto Ronny Kiaulehn)

Dolomiti di Pace, progetto di comunicazione e di turismo culturale promosso da Trentino Spa in collaborazione con la Fondazione Opera Campana dei Caduti e il Forum Trentino per la Pace, fa della montagna il luogo della riflessione e della responsabilità. Otto incontri, dal 5 luglio al 16 agosto, con giornalisti ed esperti, attivamente impegnati nel sociale, sia in Italia che all’estero, e con musicisti per condividere con semplicità, magari stando seduti sull’erba all’aperto,
pensieri, riflessioni, suoni che gettano un ponte tra culture diverse, tra Nord e Sud, tra Est e Ovest. Un’iniziativa dai contenuti forti, all’insegna di un messaggio di pace oggi più che mai necessario.
La pace, infatti, è l’unico, vero e indispensabile presupposto per il binomio “sviluppo-democrazia”. Prodotto di diversi fattori che devono interagire, la pace è il frutto di un buon contesto politico, economico, culturale e istituzionale. L’istruzione è fondamentale per far rispettare e promuovere i diritti umani e la libertà. Come ha detto Kofi Annan: “il veleno dell’ignoranza è molto spesso alla base delle violazioni dei diritti dell’uomo. L’istruzione è il migliore antidoto”.

 

“Vado alla ricerca di oasi, dove il pensiero e i sogni
camminano parallelamente.
Mi capita spesso di voler bloccare un sogno, di fermare il tempo.
La corda di canapa sale lentamente.
Alla sua estremità è legato un vecchio montanaro.
Egli conosce la vita, conosce il mondo, conosce me.”
Fausto De Stefani

 

 

Scolari leggono il giornale

 

“Scalare come simbolo di pace e una scuola rofessionale
in Nepal è il più ambizioso obiettivo da raggiungere.”
Fausto De Stefani

 

 

Ragazzina torna dalla pesca
Bambino dormiente
Donna torna dai campi
Everest
(foto Fausto De Stefani)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCALARE COME SIMBOLO DI PACE

INTERVISTA A FAUSTO DE STEFANI

di Mariapia Ciaghi

 

Fausto De Stefani è tra i pochi alpinisti al mondo ad aver salito senza ossigeno le 14 montagne più alte della terra. Sempre in prima linea, anche nelle manifestazioni di denuncia del disprezzo ambientale, è tra i fondatori dell’associazione internazionale Mountain Wilderness, di cui è garante internazionale.
Oggi, seguendo una prassi inaugurata da sir Edmund Hillary nel secolo scorso, è impegnato nella realizzazione del progetto “Una scuola in Nepal”, di cui è promotore, per la costruzione di una scuola nelle favelas di Kathmandu.

Cosa ha significato e cosa significa per lei essere alpinista?
Crescere come uomo e comprendere sempre un po’ di più il senso dell’esistenza. Ha significato fatica immane e ricompense senza pari, paura di non farcela e sforzo di
volontà per non cedere. In questo processo di crescita mi ha aiutato ancor di più la mia anima di naturalista, questa, più della sfida alpinistica, mi ha spinto ad abbandonare i sentieri comuni per avventurarmi oltre il certo.
Essere alpinista oggi vuol dire raggiungere i propri obiettivi nel pieno rispetto della montagna e delle persone che ci vivono.

Come si è sviluppata la sua passione per la montagna?
Da un insieme di informazioni, suggestioni, emozioni e curiosità che dall’infanzia sono andate crescendo.
Come non ricordare i racconti pieni di fascino e di mistero che i miei vecchi raccontavano intorno al fuoco nelle fredde sere d’inverno. Uno di questi, con una lunga barba bianca, raccontava di luoghi lontani visti dall’alto di una mongolfiera, di persone diverse, raccontava del rumore e del silenzio, dell’aria e dell’acqua, degli spazi liberi e dell’immensa libertà che facevano respirare. Ho percorso con la fretta della gioventù tutte le tappe dell’alpinista, affrontando le montagne più impegnative delle Alpi e del mondo, ho vissuto poi pienamente l’avventura delle vette himalayane che mi hanno voluto accogliere.

La conservazione e lo sviluppo sostenibile richiedono un compromesso politico a livello internazionale.
Crede che ci sia un impegno in tal senso?

La montagna dovrebbe essere considerata l’ultimo regno del silenzio e oggi è un rutilante mondo di consumi. Io credo che gli interventi dell’uomo che offendono la natura, che tolgono all’ambiente gli stessi presupposti per la sua integrità alla fine tolgano un po’ di libertà a ognuno di noi. È assolutamente necessaria una riflessione su questi aspetti della modernità, non chiedo di tornare indietro ma di procedere con maggiore cautela e rispetto per ciò che circonda e che resterà anche dopo di noi.

Ogni montagna ha una sua propria eco…
L’eco è un fenomeno che si può sentire a ogni altitudine, in montagna è più forte e in certe situazioni si propaga, con grande effetto, di valle in valle. Ma l’eco interiore dipende esclusivamente dal tuo stato d’animo, dalla tua capacità di sentire e ancor più di ascoltare.
Un diffuso silenzio, in certe situazioni produce un’eco melodiosa e non dipende certo dalla quota e neppure dalle difficoltà.

Assieme a Emilio Mutti lei è stato promotore di un progetto in Nepal per la realizzazione di una scuola professionale. Quali sono gli obiettivi?
Crediamo che la competenza professionale possa rappresentare un’opportunità di riscatto sociale ed economico. La scuola professionale costituisce un ulteriore passo per il sostegno di cui necessitano molti ragazzi della comunità di Kirtipur, una cittadina non lontana da Kathmandu. È parte del programma di interventi della Fondazione Senza Frontiere- ONLUS che ha stipulato un accordo ventennale con la Rarahil Memorial School, la quale, oltre a curare la costruzione della scuola e la gestione, si è impegnata a garantire l’accesso gratuito ai corsi professionali a una quota di alunni poveri e meritevoli.

Nel 2003 lei ha preso parte alla realizzazione del film di Carlo Pinelli il Cavallo di Lapislazzuli…
Secondo un’antichissima leggenda il grande fiume asiatico Amu Darya nascerebbe dalla bocca di un cavallo di lapislazzuli, nascosto sulla più alta vetta del Pamir afgano (o Hindu Kush). Per raggiungere quella vetta misteriosa, e scalarla come simbolo di pace, ci siamo addentrati nelle più remote e affascinanti regioni dell’Afghanistan settentrionale. È un’avventura che ci ha messo a contatto con la realtà drammatica di un paese prostrato da un quarto di secolo di guerre, abbiamo visto le devastazioni, subite da un patrimonio archeologico di inestimabile valore ma anche la tenace volontà degli abitanti locali di ritrovare la via che conduce alla civile convivenza. È venuto il tempo di seppellire il Kalashnikov e di dissotterrare l’aratro… o la piccozza.

 

 

Per informazioni e per contribuire al progetto
“Una scuola professionale in Nepal”:
Fausto De Stefani - Elio Mutti (coordinatore)
Fondazione Senza Frontiere - Onlus
Via S. Apollonio n. 6
46042 Castel Goffredo (MN) - Italia
Codice Fiscale n.90008460207
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